Quale nuova Leadership dopo il Covid-19? Possibili percorsi per una leadership 2030
In un contesto di epidemia mondiale e di grande turbolenza sui mercati, pare ovvio interrogarci e chiederci se la leadership tradizionale stia cambiando a fronte dell’esperienza nella gestione del Corona Virus.
Potenzialmente un Leader, ovunque operi, da sempre deve farsi carico anche di precise responsabilità sociali, per questo riteniamo che dopo il Corona Virus nasceranno nuovi Leader con un insieme di caratteristiche riscontrabili solo in un profeta e condottiero:
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Attraverso segnali deboli, dovranno carpire le future evoluzioni industriali e della società.
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Dovranno continuare a essere punto di riferimento, anche psicologico, non solo dei collaboratori, ma anche dello stesso tessuto sociale.
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Dovranno possedere un insieme complesso di capacità di visione, di capacità di guida e supporto, non facilmente presenti in una sola persona.
Occorre, in altri termini, saper aggregare antiche competenze, trasmettere fiducia sui progressi della medicina, ma avere anche la capacità di guardare oltre la sponda del fiume, imparando a lavorare su temi d’avanguardia e con una strumentazione molto diversa rispetto al passato. Strumentazione che in molti casi ha accelerato la stessa trasformazione digitale in un paese che si presentava già in ritardo su questi investimenti.
L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha stimato le conseguenze del coronavirus sull’economia globale, ritenendole potenzialmente in grado di causare un ridimensionamento della crescita globale per il 2020: nel primo Interim Economic Outlook del 2020, infatti l’Ocse, ha tagliato le stime di crescite del Pil globale dal +2,9% al +2,4% o, nel peggiore degli scenari, al +1,5%.
Nel primo semestre del 2020 si è registrata una regressione del 5,5% del PIL globale, la più grave dal dopo guerra. La situazione è aggravata, in Italia, da un quadro politico sempre più confuso con decisioni di breve, sovente revocate e modificate in corso d’opera.
Il Leader del futuro si dovrà impegnare ad abbandonare molte prassi, liturgie, se non ipocrisie: eredità di un passato che tuttora impregna la società. Dovrà divenire un innovatore in grado, quale nuovo “Principe Rinascimentale”, di trasmettere un contributo positivo per rilanciare su nuove basi le regole sociali ed i valori di riferimento del nostro Paese.
Tutto questo trova una sola causa: Il nostro amato paese è fortemente disorganizzato.
Troppe volte abbiamo assistito al valzer dei numeri che dividono in chiave statistica gli ammalati in relazione alle regioni di provenienza ed alle fasce d’età.
Troppe volte abbiamo assistito sgomenti alla mancanza di posti letto e di dispositivi protettivi, alla morte di medici e personale sanitario che si era prodigato nell’aiutare gli altri.
Il Covid-19, piaccia o no, ha comportato in modo significativo un gran numero di conseguenze psicologiche sulle persone e la ricerca di nuovi equilibri tra il lavoro e la vita privata.
Tutto questo influirà anche nei futuri modelli di gestione all’interno delle aziende.
La verità è che siamo entrati in una tempesta ed ancora non ne vediamo la fine.
Non troveremo più del personale, soprattutto gli appartenenti alle nuove generazioni, disponibili ad accettare supini una leadership formale se questa non verrà sostenuta da nuove logiche di coinvolgimento e da un esempio nei comportamenti.
Ogni leader dovrà sprigionare una nuova potenziale capacità di perseguire delle nuove eccellenze. Potenzialità, che non potrà esprimersi attraverso l’ordine gerarchico ma dovrà, viceversa, porsi come obiettivo la capacità di realizzare un ambiente motivante, ove ognuno potrà esprimere la propria personalità e portare a frutto le proprie idee, ovviamente quando le stesse risultano in sintonia con la visione e la mission dell’azienda.
Per raggiungere questi obiettivi i Leader del 2030 dovranno essere “diversi rispetto al passato e moralmente coraggiosi” accettando nuove sfide in un sistema che opporrà certamente resistenza al cambiamento.
Sarà in primis l’insieme dei Leader del nostro Paese che dovrà interrogarsi attraverso un coraggioso “Breakthrough” del loro sapere, per divenire a pieno titolo prezioso fertilizzatore e collante, se non punto di riferimento per l’intero sistema, dal mondo delle aziende, alle istituzioni pubbliche presenti nel nostro paese.
Un processo di leadership si forma sempre attraverso una crescita, un percorso che spesso appare formale, ma in realtà è sostanziale e che è sovente legato ad un vissuto personale e a naturali meccanismi di selezione del mercato.
Se è vero che ogni crisi genera delle opportunità, forse all’orizzonte sta già nascendo un nuovo modello di leadership: quella più simile ai consoli romani, rispetto a quella degli imperatori?
Se questo è auspicabile in teoria, devo però osservare la mediocrità ampiamente diffusa nel mondo della managerialità italiana e/o il tentativo, a volte patetico, dei molti media e consulenti di direzione che cercano di riciclare, con nomi nuovi, vecchie teorie che appartengono definitivamente al passato.
Attenzione, non siamo in presenza di una tradizionale crisi, ma di un Reengineering drastico e permanente delle organizzazioni aziendali.
Se la nuova leadership riguarda una nuova classe dirigente del Paese, questa può, e deve, coalizzarsi attorno ad una bandiera, con elevata capacità di aggregazione, d’identificazione, e capacità di coesione su valori condivisi. Ma l’identificazione si fa sulle persone, non su entità astratte, il che dà, a ciascun leader o manager aziendale, delle precise responsabilità e costui ne deve essere consapevole.
Pensare di ricevere consenso a priori sulle azioni, è sbagliato. Il consenso deve essere sempre e solo focalizzato sugli obiettivi.
Ecco perché la classe dirigente del paese deve trasformarsi in Profeta e Condottiero.
Il profeta in verità era probabilmente il miglior ascoltatore del popolo, colui al quale tutti andavano a raccontare i problemi, le angosce, i timori e le valutazioni; riunendo tutto questo, riusciva a derivare le necessità e le direzioni verso cui muoversi. Conoscendo la sua gente e le difficoltà nelle quali si muoveva, riusciva a individuare le strade attraverso le quali raggiungere la terra promessa.
Queste capacità, in misura maggiore o minore, tutti noi le abbiamo o le possiamo coltivare, ma occorre aprirsi e confrontarsi, perché altrimenti queste capacità rischiano di inaridirci anziché accrescerci.
Identificazione e appartenenza si fanno su valori e su bandiere; se i valori sono condivisi, le bandiere possono sventolare. Se le bandiere non sventolano, identificazione e appartenenza degradano molto rapidamente.
Credo che tutti noi oggi non abbiamo tanto bisogno di appartenenza, ma di nuova sostanza e di capacità di fare. Se misuriamo le distanze tra ciò che servirebbe al nostro paese per competere, per stare al passo della globalizzazione, per superare questo periodo storico di decadenza a causa della pandemia, dobbiamo veramente avere paura dell’inadeguatezza del mondo manageriale italiano.
Mario Gibertoni, Presidente Gruppo StudioBase