Il lavoro: luogo di cultura per la prevenzione degli infortuni?
Nel mondo del lavoro si muovono e intrecciano culture, persone, differenze e territorialità. Come ogni realtà, si tratta di un mondo dinamico: ha leggi sue, un suo modo di interrelarsi con la realtà, una propria evoluzione ed anomalie, e a volte si trova a lottare per la sopravvivenza.
La prevenzione degli infortuni non sempre è sintetizzabile con i buoni risultati statistici, i metodi efficaci o la formazione del personale è prima di tutto una cultura di vita. Ha infatti come obiettivo strategico il “soddisfare bisogni e aspettative di un lavoratore in un ambito che garantisca e tuteli il lavoro sicuro”.
Nelle dinamiche della prevenzione infortuni di un’azienda, tutti gli attori sono coinvolti: i clienti esterni, i cittadini, gli utenti, i dipendenti, i fornitori, gli azionisti… in senso lato tutti coloro con cui ogni realtà lavorativa viene a contatto.
La prevenzione degli infortuni dà centralità “alla persona” in quanto tale, ed è in questo che risiede il suo valore etico.
Ciò che è messo al centro rappresenta il punto di riferimento, la guida, la norma, la giustificazione dell’agire; per questo si parla di neutralità e centralità del lavoratore o, meglio, di centralità della risorsa umana.
La neutralità sta proprio nel fatto che la cultura della prevenzione degli infortuni, quando diventa la cultura dominante nel lavoro, si focalizza sulla persona in quanto tale, senza i distinguo di sesso, età, cultura, status economico o altre discriminanti. Si focalizza sulla persona per coglierne, grazie ad un suo coinvolgimento, le potenzialità e le attitudini e poter creare con essa le condizioni ottimali di lavoro.
Purtuttavia, l’ammissione o esclusione a certe attività, non sempre può essere stabilita a priori, ma deve essere valutata sulla base degli obiettivi e di ciò che le persone in quel momento sanno offrire in termini di professionalità, esperienza, attitudini e potenzialità.
Ciò significa che, parlando di sicurezza sul lavoro, dobbiamo imparare ad ascoltare i lavoratori, prendendo atto della loro esperienza e di come la stessa si è evoluta nel tempo.
Ma, attenzione: la prevenzione degli infortuni richiede una razionalità che appartiene al campo dell’intelletto e la cui funzione è di discriminare, confrontare, misurare ed ordinare per categorie. Ciò significa che un lavoratore ben addestrato deve essere capace di valutare a priori una situazione di pericolo.
Siamo nel campo della logica, della consequenzialità, della valutazione quantitativa.
La prevenzione degli infortuni si deve necessariamente coniugare con l’efficienza delle persone e con l’efficacia dell’organizzazione e dei mezzi utilizzati.
Serve pertanto chiarezza nell’individuazione dei processi operativi, nel monitoraggio delle variabili significative e nella misurazione quantitativa delle variazioni.
Per quanto attiene alla prevenzione degli infortuni, ogni luogo di lavoro può essere vissuto come luogo di oggettiva ricchezza, grazie allo scambio potenziale di chiavi di lettura e di diversi punti di vista.
Le chiavi di lettura della realtà si costruiscono nel processo di crescita e di socializzazione in base alla percezione che il singolo ha della realtà che lo circonda.
Le chiavi di lettura della realtà sono quindi legate anche al vissuto della persona. Vissuto che può essere stato, specie nei primi anni di vita, più o meno condizionato dal tipo di processo educativo ricevuto.
La percezione è viceversa determinata dalle necessità che sente il lavoratore e che lo guida nei comportamenti.
Non a caso, in alcuni contesti, gli infortuni vengono correlati alla fatalità e/o alla jella e non è infrequente trovare, a bordo delle macchine e degli impianti, un’immagine sacra o un amuleto in grado di” scacciare gli spiriti cattivi”.
Per quanto riguarda la prevenzione in senso più generale, dobbiamo prendere atto che molti infortuni si verificano già in età scolare, eppure la prevenzione nelle scuole primarie è affidata alla sensibilità del singolo insegnante e non è viceversa imposta da programmi Ministeriali.
Ma, in sintesi, qual è la formazione ideale per infondere anche nelle nuove generazioni una cultura della prevenzione?
A tal proposito, ci si rende subito conto di due importanti aspetti:
• pur nella somiglianza, poiché ognuno ha un proprio esclusivo passato, le persone si differenziano per la diversità con cui leggono la realtà e, oltretutto, per come percepiscono il pericolo;
• le chiavi di lettura della realtà dei singoli sono interpretazioni certamente da accogliere, cercando però delle convergenze sui valori;
Pertanto, si può favorire un cambiamento consapevole nella prevenzione degli infortuni solo attraverso un processo di condivisione dei valori.
Se, nella lettura della realtà si potrà fruire di più interpretazioni, tanto meglio la realtà stessa potrà essere esplorata e più perfetta sarà la sua conoscenza, più sarà facile la ricerca delle soluzioni da adottare per un lavoro sicuro.
Ecco perché non condivido la formazione sulla sicurezza effettuata con la logica “dei pacchetti standard” facilmente acquistabili in rete.
Quale formazione?
La formazione per la sicurezza è un processo più complesso, che deve realmente aiutare ogni singolo lavoratore nell’acquisire la capacità di valutare situazioni di rischio e nel sapere come superarle.
Si è già detto che la percezione è il modo di leggere la realtà di ognuno, mentre l’elaborazione è il risultato dell’organizzazione delle informazioni.
Nel cervello abbiamo un sistema per cui le informazioni in entrata vengono organizzate in routine, sviluppando questi schemi si diventa più efficienti: è come se seguissimo percorsi noti, standard e prestabiliti.
La creatività cerca nuovi percorsi e, affinché l’idea non rimanga solo un sogno, tenta poi di rientrare nel regolare modus operandi, non escludendo quindi la razionalità e la standardizzazione. Questo è il primario approccio di chi propone di agire “diversamente” per trovare nuove soluzioni.
L’avvento di un mondo denominato Industry 4.0 e delle tecnologie abilitanti è sicuramente una grande opportunità per cercare di superare alcune problematiche, quali l’intervento in sicurezza a bordo di un impianto di difficile determinazione.
Quanto sopra è possibile solo negli ambienti in cui il contesto favorisce la nascita di nuove idee, legate per esempio alle opportunità connesse con le trasformazioni digitali.
Il contesto è quello in cui la persona si sente “libera” di fornire giudizi negativi senza correre rischi di immagine o di carriera per la propria persona.
È solo in un ambiente aperto all’ascolto e rispettoso della persona che si ottiene la “Vera Prevenzione”.
Infine, nella prevenzione degli infortuni si richiede di perseguire, attraverso la complementarità, la logica di “Zero Incidenti”.
Ogni persona è un soggetto a sé: simile agli altri, ma contemporaneamente assai diverso e unico. Questa diversità ha intrinseca la possibilità della complementarità, che
si esprime nelle relazioni fra le persone. Ne deriva che gli aspetti di limite o di carenza di una persona possono essere i punti di forza di un’altra.
La complementarità presuppone un approccio positivo, ossia:
• avere la capacità di riconoscere e apprezzare i pregi e i limiti, propri e degli altri;
• avere la consapevolezza che per risolvere i problemi ci sono tante vie: bisogna saper cercare la migliore con determinazione;
• avere l’abilità di sapersi liberare dalle chiusure culturali, ideologiche e mentali per riuscire a guardarsi intorno con umiltà ed innocenza.
Non è infine da trascurare il fatto che fare esperienza di complementarità è gratificante anche sul piano psicologico, almeno per due motivi: suscita il piacere di essere stati utili e rafforza un’immagine positiva di se stessi.
Il lavoro il gruppo può allora diventare opportunità ricca di creatività e di proposte di miglioramento, idee che saranno tanto più numerose quanto più diverse saranno le chiavi di lettura, nonché i livelli professionali e culturali dei componenti.
Conclusione
Certamente parlando di sicurezza sul lavoro, sul piano legislativo e soprattutto su quello culturale, si trovano varie e talvolta serie difficoltà che indubbiamente devono essere rimosse, per non ritrovarsi a dire, come si è soliti:
“abbiamo sempre fatto così” e pertanto ad accettare la consuetudine come garanzia per un “lavoro sicuro”.
Per contrastare il fenomeno infortunistico c’è un lungo cammino da fare, da percorrere con determinazione, attivando tutte le energie migliori possibili, ma… nel frattempo?
Nel frattempo, ritengo che si debba partire dalla realtà: molte volte il lavoratore si trova in una ambiente di lavoro “calato dall’alto” che, seppur non scelto direttamente, deve esser vissuto con consapevolezza.
La maturità sociale della persona si esprime nella capacità di affrontare le situazioni con creatività e razionalità affinché, con le risorse a disposizione, anch’esse sempre limitate, si possano ottenere i migliori risultati.
Si cambia una cultura, più che con le leggi, con la testimonianza che, silenziosamente, fa crollare tante barriere e, se il passaparola saprà testimoniare l’efficacia dei modelli partecipativi nella prevenzione degli infortuni, riusciremo a contrastare questo drammatico fenomeno che ultimamente in Italia pare non essere sotto controllo.
Mario Gibertoni, Presidente StudioBase & International Academic Fellow